Mancano pochi giorni al verdetto, e le preoccupazioni degli investitori sono alle stelle. Ma in un anno già carico di tensioni per i danni economici della pandemia, tutta quest'ansia, è davvero giustificata?
Abbiamo provato, con le nostre modeste forze, ad esaminare qualche punto dei programmi elettorali, ed il risultato, molto sintetico, è stato questo:
TASSE Joe Biden vorrebbe aumentare le aliquote solo sulle società, ma di poco e solo per finanziarie misure di stimolo. Anche Trump potrebbe spingere per ulteriori stimoli fiscali. Da notare che, con una maggioranza repubblicana al Senato, i piani fiscali di Biden troverebbero molti ostacoli.
SPESA PUBBLICA Per Biden la priorità andrà alla ricerca, allo sviluppo e alle politiche sociali, privilegiando finanziamenti diretti agli Stati ed ai Comuni, mentre Trump dovrebbe proseguire la sua politica di sostegno all' economia continuando a concentrarsi sulle tariffe doganali e sulle agevolazioni alle grandi imprese esportatrici.
POLITICA ESTERA Qui le tensioni con la Cina mettono d'accordo le parti, e molti analisti concordano sul fatto che neppure una amministrazione Biden cercherà di migliorare le relazioni commerciali e politiche. Infatti entrambi i candidati alla presidenza sembrano intenzionati a voler proteggere i diritti di proprietà intellettuale e a non sottovalutare le minacce cinesi alla sicurezza informatica e tecnologica.
POLITICA SANITARIA Identici obiettivi, ossia controllare i costi dei farmaci.
FINANZA E POLITICHE ENERGETICHE Forse solo su questi due punti le proposte sono distanti in quanto Biden ha in programma regole più severe, Ad esempio, per le banche, il suo programma prevede maggiori restrizioni alla distribuzione di utili durante la pandemia, mentre per le limitare le emissioni di gas e contrastare l'effetto serra la proposta è quella di interrompere i progetti e le trivellazioni. Diverso invece l'approccio di Trump, che su questi due punti ha intenzione di proseguire con le decisioni che hanno già ha caratterizzato i suoi quattro anni di presidenza: conferma della tassazione ridotta, difesa dello shale oil nel nome dell'indipendenza energetica e deregulation finanziaria.
Per cui, per lasciare la conclusione a chi si è addentrato seriamente nelle pieghe dei programmi elettorali dei due schieramenti, le differenze nelle proposte post-voto non sono poi così marcate.
Al di là dei proclami di facciata infatti le medicine per sostenere l'economia americana risultano, e non potrebbe essere diverso vista la situazione, molto simili sia per il Presidente in carica che per lo sfidante.
Allora, dove potremmo vedere veramente uno scarto dopo le elezioni. Forse in borsa?
Qui, come sempre, la previsione è complicata: molto più facile affidarci al passato, verificando, numeri alla mano, che cosa è successo ai mercati nelle tornate elettorali precedenti, e facendoci perciò aiutare dalla statistica.
Ed ecco il verdetto: oltre due terzi delle volte in cui lo stesso od un nuovo presidente sono arrivati al potere, l'indice azionario Dow Jones è cresciuto in media del 7,4% in sei mesi, e anche l'altro indice di riferimento, l'S&P 500, ha ottenuto risultati simili durante lo stesso periodo.
Interessante anche notare che questa risposta positiva a breve termine del mercato è risultata la stessa, sia per i Repubblicani che per i Democratici, poiché la certezza di una guida politica, qualunque essa sia, mette il mercato a suo agio.
Perciò, dove si nascondono le insidie?
Il vero pericolo per le borse, dicono gli analisti, non sarà nel colore politico del vincitore, bensì nella strada che porterà alla sua designazione.
L'esempio più famoso è naturalmente quello delle elezioni presidenziali dell' 8 novembre 2000. La sfida oppose il candidato repubblicano Bush e il vicepresidente democratico uscente Al Gore: in termini di voto popolare prevalse quest'ultimo, ma i voti elettorali, 271 contro 266, furono favorevoli a Bush e ne determinarono l'elezione.
La proclamazione del vincitore venne rinviata per molti giorni, poichè nello stato determinate della Florida fu necessario ricontare i voti, addirittura a mano. Alla fine Bush ottenne la maggioranza con un distacco di appena 537 voti, ma solo una decisione della Corte Suprema dell' 11 dicembre determinò ufficialmente la sua vittoria. In borsa, in poco più di un mese, il ribasso fu del 12%
Quindi, per chi tifare? Per chi si occupa di finanza, la risposta è molto facile.
Non serve a molto manifestare una preferenza per chi si candida, bensì confidare nel netto numero dei voti che separeranno il vincitore dallo sfidante. Maggiore sarà questo numero, e migliori saranno le possibilità di vedere attuato, da subito e con autorevolezza, quanto proclamato nel programma elettorale.
Come dire: le idee chiare, per aiutare i mercati ed il futuro della più grande economia del mondo, devono essere non del Presidente, ma di chi lo dovrà votare...